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CICLOTIMIA

La Ciclotimia può essere considerata come una forma di Disturbo Bipolare con caratteristiche sindromiche attenuate ed andamento cronico. È caratterizzata da un continuo alternarsi di periodi, della durata di almeno 2 anni, con sintomi depressivi ed ipomaniacali attenuati rispetto a quelli degli Episodi Depressivi Maggiori e Maniacali. Per definizione, il paziente, nell’arco di tali 2 anni, non deve essere mai stato libero dai sintomi descritti per più di 2 mesi.

Il Disturbo Ciclotimico, la cui prevalenza lifetime è dello 0,5-4% nella popolazione generale, è ugualmente ricorrente tra i due sessi e presenta una mode- sta tendenza alla familiarità con gli altri Disturbi dell’Umore e con l’abuso di sostanze.
L’esordio è generalmente lento e progressivo, per lo più in età giovanile, tra i 15 ed i 25 anni. Assume un andamento persistente, con un decorso sostanzialmente cronico benché fluttuante nel tempo quanto ad intensità dei sintomi. In circa il 25-50% dei casi evolve in Disturbo Bipolare tipo II, con la comparsa di una sintomatologia depressiva più marcata, più rara è invece l’evoluzione in Disturbo Bipolare tipo I. Il quadro clinico della ciclotimia è complesso e ricco di manifestazioni psicopatologiche che si esprimono prevalentemente sul piano comportamentale e delle relazioni interpersonali.

Effettuare una diagnosi differenziale con Disturbo Bipolare tipo I o con Disturbo Bipolare tipo II a cicli rapidi può risultare difficoltoso nel caso in cui l’andamento del Disturbo Ciclotimico sia caratterizzato da cambiamenti d’umore particolarmente frequenti e repentini; in ogni caso depone, per diagnosi di Ciclotimia, l’assenza di veri e propri quadri maggiori sia di tipo depressivo che maniacale. Anche il Disturbo Borderline di personalità, nel quale le variazioni del tono dell’umore siano particolarmente marcate e frequenti, può essere posto in diagnosi differenziale con la Ciclotimia. In questi casi, la familiarità per Disturbo Bipolare e la maggiore presenza di sintomi somatici e vegetativi, orienteranno verso una diagnosi corretta. Sul versante affettivo i ciclotimici mostrano alternanza continua di “alti” e “bassi”, per periodi prolungati di tempo. I cicli si susseguono in maniera irregolare, i cambiamenti d’umore sono spesso repentini, mentre è rara l’interposizione di periodi di relativa stabilità del tono affettivo. Le oscillazioni dell’umore dei ciclotimici possiedono una componente circadiana con caratteristiche bifasiche, ad esempio la letargia si alterna all’euforia, una ridotta produttività verbale si alterna a loquacità eccessiva, una bassa fiducia in sé stessi si sostituisce ad una fiducia eccessiva nelle proprie capacità. È sul piano dei rapporti con gli altri che il disturbo procura più spesso disagi e difficoltà.

I familiari e gli amici fanno notare come essi appaiano spesso privi di tatto ed ostili verso le persone che hanno intorno; in molti casi sono presenti esplosioni di rabbia a seguito di controversie di scarsa rilevanza oggettiva. Per la maggior parte del tempo i ciclotimici sono consapevoli della loro instabilità emotiva e dei loro attacchi di rabbia e ciò produce, una volta calmatisi, notevole imbarazzo per l’aver perso il controllo. L’imprevedibilità delle oscillazioni dell’umore rappresenta una delle maggiori cause di disagio per i soggetti ciclotimici, in quanto contribuisce a far vacillare il proprio senso del “sé” e produce una notevole instabilità sul piano comportamentale e delle relazioni interpersonali.
La reattività dell’umore agli eventi è una caratteristica tipica della ciclotimia. Nei ciclotimici, infatti, è spesso presente, come tratto stabile, una particolare sensibilità emotiva agli stimoli ambientali che porta questi soggetti, da una parte a reagire ad eventi favorevoli riacquistando rapidamente gioia, entusiasmo, iniziativa e dinamicità (talora anche con eccessiva euforia ed impulsività), dall’altra ad abbattersi in caso di avvenimenti “negativi” (reali o vissuti come tali), con sentimenti di profonda prostrazione, tristezza, astenia.

I sintomi osservabili nella fase depressiva sono quelli consueti della depressione: ansia e irrequietezza; demotivazione; noia; pessimismo; sensi di colpa; sensi di inadeguatezza; scarsa autostima; tendenza a piangere ed a commuoversi; scarse capacità di concentrazione; rallentamento nel pensiero, nell’eloquio, nella ge
stualità; alterazioni del sonno e dell’appetito.
Meno conosciuti, anche perché più facilmente scambiati per un tratto di personalità, sono i sintomi relativi alla fase euforica, o ipo-maniacale: ottimismo eccessivo; grande stima di sé; grande energia; espansività; eloquio e pensieri accelerati e inarrestabili; insonnia senza sensi di stanchezza; iperattività; impulsività nelle spese; sottovalutazione dei rischi; facile irritabilità con tendenza alla lite per futili questioni; tendenza a comportamenti polemici.

DISTIMIA

La Distimia, corrispondente a quella che un tempo veniva chiamata depressione nevrotica, è caratterizzata invece dalla persistenza di un umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, riscontrabile per un lasso di tempo minimo di 2 anni, in 
assenza di intervalli liberi maggiori di 2 mesi.
Come definito dal DSM IV-TR, oltre a tale deflessione persistente del tono dell’umore, al fine di porre diagnosi, è necessaria la sussistenza di altri due sintomi tra i seguenti: iporessia o iperfagia, insonnia o ipersonnia, astenia e ridotta energia, sentimenti di disperazione, bassa autostima, scarsa capacità di concentrazione o difficoltà nel prendere decisioni. Tra i sintomi predomina generalmente un umore triste associato ad un atteggiamento pessimistico e passivo verso la vita, tendenza al dubbio e alla rimuginazione su problemi di natura esistenziale o su tematiche ipocondriache, scarsa autostima e una particolare suscettibilità alle critiche ed al giudizio altrui. 
È frequente la compresenza di ansia. Sono invece praticamente assenti sintomi quali rallentamento psicomotorio, le allucinazioni ed i deliri. Il rischio di suicidio appare piuttosto remoto. Tale corteo sintomatologico, essendo divenuto parte integrante del vissuto quotidiano del paziente, spesso non viene esplicitamente riferito, a meno che non lo si interroghi direttamente in merito. Causano inoltre un disagio clinicamente significativo ed una compromissione del funzionamento sociale e lavorativo del paziente affetto, meno rilevante comunque rispetto a quello registrato nella Depressione Maggiore.
Se dopo il periodo iniziale di due anni (requisito necessario per la diagnosi), al Disturbo Distimico si sovrappongono Episodi Depressivi Maggiori, si parla di “Depressione Doppia”.

Fino al 75% degli individui affetti da Disturbo Distimico inoltre, sviluppa entro 5 anni un Disturbo Depressivo Maggiore.
 La Distimia è un disturbo tutt’altro che infrequente. La prevalenza lifetime è infatti stimata aggirarsi intorno al 2-15% della popolazione generale, con un interessamento maggiore del sesso femminile rispetto a quello maschile (rapporto M:F=1:2-4)

La Distimia esordisce generalmente in modo lento e progressivo, per lo più in età giovanile; l’andamento risulta persistente, il decorso sostanzialmente cronico benché fluttuante nel tempo quanto ad intensità dei sintomi. Non è infatti infrequente il riscontro di periodi di tempo, della durata però non superiore a 2 mesi, in cui la sintomatologia si attenua, fin quasi a scomparire del tutto. È possibile, in base al tipo di esordio, identificare due forme cliniche di Disturbo Distimico: una prima variante ad esordio precoce, antecedente ai 21 anni, la seconda più tardiva, con comparsa delle prime manifestazioni sintomatologiche dopo i 21 anni di età.
La diagnosi differenziale viene posta nei confronti del Disturbo Depressivo Maggiore, rispetto al quale i sintomi sono meno gravi e di durata prolungata per un tempo non inferiore ai due anni, con il Disturbo Depressivo Maggiore Cronico, che presenta sintomi depressivi cronici di gravità e numero sufficienti a soddisfare i criteri per Episodio Depressivo Maggiore, con Disturbo dell’Umore indotto da condizione medica generale, che deve essere la conseguenza degli effetti diretti della patologia di base (di solito cronica).

BIBLIOGRAFIA

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